di Stefano Zanfino
Volevo partire innanzitutto dalla riflessione di Marco Mascioli (che trovate in questo commento) sul costruire qualcosa in maniera condivisa. Due passaggi a mio parere sono particolarmente significativi:
"Leggo più che altro le questioni sollevate come proposta per riflettere su quella "difficoltà di studenti che si incontrano a comunicare e a condividere vari punti di vista", di cui parla Giuseppe nel precedente intervento. Difficoltà che è generata proprio dal riconoscere che non ci sono soluzioni immediate e che la "costruzione" e la "condivisione" non sono facili da raggiungere e non sono date una volta per tutte."
"Cominciare a definire intanto chi siamo noi e quali obiettivi ci poniamo, è un modo per costruire o per chiuderci? Se fossimo in cento, anzichè in quindici, saremmo maggiormente in grado di chiarirci le idee perchè "più teste, più idee", oppure ci confronteremmo comunque con la confusione di riconoscere che ancora non sappiamo cosa stiamo andando a costruire?"
Ciò di cui si parla qui è esattamente l'idea che provavo ed esporre nella scorsa assemblea, ovvero la necessità di definire le proprie caratteristiche di gruppo per aiutarci a dare forma a ciò che intendiamo e possiamo costruire attraverso la condivisione di idee. Caratteristiche che vanno dalle funzioni agli strumenti, dalle risorse fino ai confini: nulla di questo va dichiarato una volta per tutte, ma a mio parere è utile che ogni elemento sia indagato di volta in volta, parallelamente alla definizione e ri-definizione degli obiettivi. E' un processo di continua manutenzione del gruppo che, lungi dall'essere una regola vista come obbligo, può configurarsi come un metodo che passo dopo passo possa aiutarci a leggere la realtà in maniera consapevole e funzionale, nel senso di utile a ri-orientare il gruppo verso obiettivi costruiti.
A proposito della proposta di metodo contrapposto all'obbligo, mi piacerebbe spendere due parole sulla questione "Manifesto", di cui il primo post di Luca de Santis (qui) è visto come bozza, a seguito di accordi presi a riunione. Vorrei innanzitutto porre l'attenzione sulla possibile fantasia che ha generato questa idea. Prendo in prestito le parole di Luca:
"Abbiamo sentito l'esigenza di darci una traccia guida per partecipare alle nostre assemblee o meglio per autorganizzarci; diciamo una specie di "manifesto" di un movimento studentesco che all'interno della nostra facoltà si è disgregato."
La necessità è quella di "darsi una traccia guida" quindi. In cosa differisce con la necessità di definizione delle caratteristiche del gruppo prima ricordata? Ancora, dal post di Luca:
"In conclusione decidiamo di chiamare prodotto psicologico questo manifesto perché, riconoscendone valore di formazione ne verrà ri-prodotta l'impronta e lo spirito, in ogni futuro contesto di condivisione e aggregazione istituzionale e non."
Al di là del fatto che questa fosse dichiaratamente solo una prima bozza, il messaggio implicito dietro queste parole è abbastanza chiaro: stiamo producendo qualcosa che, dato il suo valore, verrà riprodotta fuori dall'assemblea, in contesti diversi da essa.
Messaggio che riproduce abbastanza fedelmente l'idea e la probabile fantasia per la quale il concetto di Manifesto è venuto fuori in prima battuta all'assemblea del 06/12: la fantasia di produrre qualcosa di relativamente immodificabile (un manifesto lo è per definizione) che consentisse a un gruppo in realtà dichiaratamente variabile di sopravvivere a questa variabilità attraverso regole fisse alle quali i nuovi arrivati avrebbero subito potuto adeguarsi.
Fantasia guarda caso fallita l'assemblea dopo.
Fallita perché l'idea dell'obbligo in questo caso è inutile. Potrebbe servire se fossimo un'associazione formale forse, con statuto, tessere e una forma di gerarchia interna. Smarcandoci da un'idea come questa, allora anche la funzionalità dell'obbligo decade. Ci si deve confrontare per forza di cose con una ridefinizione continua attraverso la manutenzione del gruppo. Ma, a questo punto, come evitare il caos più totale che sembra suscitare la totale assenza di punti fermi?
Mi viene in aiuto ancora il commento di Marco:
"Allo stesso modo, quale senso ha vedere la didattica, gli appelli, l'osservatorio e la rappresentanza come ambiti distinti, quasi in conflitto fra loro, secondo la contrapposizione dell'emergenza e del progetto a lungo termine? Nessuno di questi argomenti sarà risolto a breve termine. Sono tutte questioni da definire."
Oltre all'essere questioni da definire, che cosa hanno in comune tutti quegli ambiti di riflessione? La risposta che vi voglio proporre è così banale che potrebbe risultare irritante: è il contesto in cui si situano. Che non è l'università, la Sapienza, la facoltà di Psicologia. Bensì, l'assemblea. L'aula 1 il martedì dalle 17 alle 19, e parallelamente questo blog, per il resto della settimana. Un contesto che dia alle questioni sopra una forma del tutto peculiare, e in stretta dipendenza con le caratteristiche del contesto stesso. Come vedete, alcuni piccoli punti fermi già li abbiamo eccome.
Che cosa farci ora? Beh, questo è tutto da costruire. Ma vi voglio proporre un'altra idea, giusto abbozzata, nella speranza che venga riflettuta e lavorata. Che il prodotto che stiamo provando a costruire attraverso riflessioni su questa o quell'altra questione possa essere il processo di costruzione stessa. Ovvero che il prodotto possa essere riconosciuto nelle nostre riflessioni condivise su didattica, organizzazione universitaria, forme di rappresentanza studentesca, formazione in psicologia e via dicendo (tutte questioni, peraltro, definibili come cose terze rispetto a noi, utili a evitare di cadere nell'autoreferenzialità e parlarci addosso). Prodotto valido proprio perché risultato di uno specifico contesto e specchio, carico di informazioni, della visione che quello specifico contesto ha di ciò che è intorno a lui.
Un esempio: il post di Marco Mascioli subito sotto il mio. Non vuole essere un'analisi obiettiva, tutt'altro: dà informazioni sulla lettura che uno specifico studente stimolato da una riflessione collocata in uno specifico contesto riesce a dare della realtà. Una lettura così diversa (che ve lo dico a fare) da quella di altri punti di vista da risultare dannatamente interessante nel momento in cui viene comunicata, diffusa, dibattuta. Confrontata con letture diverse, magari insieme a chi quelle letture le ha prodotte.
In sintesi, questa è la mia proposta per un prodotto: una specifica, nuova, lettura di realtà. Che di analisi obiettive, oggi, ne abbiamo veramente fin sopra ai capelli.
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